Dry January
Monthly House View - Febbraio 2022 - Cliccando qui
Rassicurati da un mercato euforico, gli investitori sono partiti per le vacanze di buon umore e si sono svegliati nel 2022 di fronte ad un nuovo scenario senza avere il tempo di reagire. I tassi stavano aumentando velocemente, i campioni del lusso e della tecnologia perdevano terreno, mentre in Europa orientale ed Asia centrale soffiavano venti di guerra. Quanto basta per convincerli a cambiare approccio ed adottare una sorta di “Dry January” monetario e finanziario, in netto contrasto con il compiacimento dei mercati di fine 2021. E quando i membri più accomodanti (le “colombe”) delle banche centrali capitolano sotto i colpi dei sostenitori di un maggiore rigore monetario (i “falchi”), è il momento di voltare pagina e correggere gli eccessi più evidenti del 2021.
Cosa hanno in comune i titoli che calano? Le valutazioni naturalmente, che restano per i mercati il fattore discriminante. Sullo sfondo di aumenti dei tassi sempre più incalzanti, gli investitori liquidano in massa i titoli i cui multipli di valutazione superano da 40 a 50 volte gli utili, un livello che avvicina pericolosamente la loro redditività sul capitale proprio ai tassi a lungo termine. A rischio di ignorare le loro prospettive di crescita, la redditività record ed il relativo pricing power; questi fattori li rendono infatti un’ottima difesa contro un’inflazione che resta elevata più a lungo del previsto. Per contro, alcuni vincitori del 2021 hanno inaugurato l’anno in grande spolvero, in primis i titoli bancari ed energetici.
Non è forse un film già visto? Alcuni sono tentati di tracciare un parallelo con l’inizio dello scorso anno, anch’esso caratterizzato da rialzi dei tassi e da una rotazione azionaria. Tuttavia, il contesto non è più lo stesso. Nel 2021 questo quadro era stato determinato dall’accelerazione della crescita, dal piano Biden, dal Senato democratico, dal lancio delle campagne vaccinali e dai primi campanelli di allarme sul rischio inflazionistico.
Ora ci troviamo in una fase di normalizzazione sia per la crescita che per le politiche monetarie, salvo la Cina riguardo a quest’ultimo punto. L’inflazione potrebbe aver già raggiunto il picco, ma all’orizzonte si intravedono i rialzi dei tassi e la riduzione del bilancio della Fed. La vera differenza rispetto al 2021 è che i tassi d’interesse reali alla fine risaliranno. A partire da dicembre, l’attenzione si è spostata dal rialzo dei tassi alla riduzione del bilancio, dai tassi a breve termine agli omologhi sul lungo periodo e dalle valute alle azioni. L’inizio del 2018, quando la Fed accelerava il ciclo rialzista, con un mese di gennaio segnato in principio da una rotazione settoriale e chiuso in ribasso, potrebbe essere un termine di paragone più appropriato.
Occorre però dare il giusto peso alle cose: il decennale americano, al netto dell’inflazione, oscilla tra il -4% ed il -5% e resterà in territorio negativo per tutto il 2023, una dinamica che dovrebbe continuare a favorire gli attivi rischiosi. Un rischio tanto importante quanto quello di ignorare i mutamenti in atto sarebbe quello di sopravvalutare questi rischi e temere uno shock simile al crollo dei bond del 1994; da allora, la Fed ci ha abituato ad inversioni di rotta quasi ogni volta che i mercati iniziano a vacillare.
Più che cercare di prevedere un futuro incerto, gli investitori dovranno dimostrare capacità di adattamento, monitorando i segnali provenienti dalle banche centrali e dalle notizie societarie. In definitiva, l’evoluzione dei mercati azionari dipenderà ancora dalla traiettoria che seguiranno la redditività e la crescita delle azioni. Quest’ultima è l’unica classe di attivi che consente al contempo di proteggersi dall’erosione dei rendimenti reali e di trovare settori capaci di prosperare in presenza di tassi più alti. La buona notizia è che la volatilità dovrebbe offrire punti di ingresso quasi introvabili nel 2021.
Monthly House View, pubblicato il 21/01/2022 - Estratto dall'Editoriale
31 gennaio 2022