V.I.S.A.: Un nuovo paradigma di mercato?

23 febbraio 2021

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Dati gli eccellenti utili societari per il quarto trimestre pubblicati nelle scorse settimane, l’euforia dei listini azionari da inizio anno non ha teoricamente bisogno di spiegazioni. Più in generale, tuttavia, sembra che siano altri fattori a dettare il ritmo sui mercati finanziari in questi giorni. È quella che abbiamo ribattezzato la sindrome V.I.S.A.:

Vaccini/Inflazione/Stimoli/Accomodamento:

  • Vaccini: le campagne di vaccinazione procedono in ordine sparso e trainano attualmente le prospettive di crescita per il 2021. Stati Uniti e Regno Unito sono in netto vantaggio, mentre l’Area Euro risulta in ritardo.
  • Inflazione: nell’arco di pochi mesi gli investitori sono passati dal timore di una recessione a quello di una ritrovata inflazione, con un conseguente rialzo dei rendimenti a lungo termine. Il rischio è che la loro reazione sia stata verosimilmente eccessiva: dopotutto, al di là degli effetti base nel breve periodo che avevamo anticipato, la disoccupazione resta elevata e le pressioni deflazionistiche dello scorso decennio persistono. Tuttavia, un nuovo equilibrio politica economica potrebbe però stravolgere la situazione.
  • Stimoli: è sempre più probabile che negli Stati Uniti verrà raggiunto un accordo su un imponente pacchetto di stimoli fiscali, sullo sfondo di un’economia già in ripresa che dovrebbe concludere le vaccinazioni prima della metà dell’ anno. Questo determina sia maggiori aspettative di crescita che paure di un eccessivo sostegno fiscale.
  • Accomodamento: ci troviamo in una situazione insolita, segnata da un recupero molto rapido dell’economia americana, nonostante la Fed intenda mantenere la sua posizione accomodante fino al 2023. La reale preoccupazione dei mercati è quindi che la ripresa si tramuti in un surriscaldamento, inducendo la Fed ad abbandonare la sua politica di tassi a zero.
 

Dietro questa sigla potrebbe celarsi un cambio di paradigma o quanto meno un nuovo equilibrio, trainato dalla politica economica più prociclica di sempre in un’economia USA che quest’anno dovrebbe già crescere del 6%. In definitiva, è al momento impossibile stabilire se questo recupero produrrà un’accelerazione più marcata e duratura di salari ed inflazione. Una cosa però è certa: una ripresa più sostenuta dovrebbe tradursi in un celere calo della disoccupazione, che potrebbe nuovamente sollevare il problema di una normalizzazione dei tassi a breve termine. La Fed ha per ora escluso questa ipotesi.

Pertanto, in questo frangente gli economisti si interrogano su come valutare i rischi eventualmente risultanti dal sostegno fiscale chiesto a gran voce, ma i cui effetti positivi sulla crescita nel breve periodo potrebbero infine essere compensati da una normalizzazione monetaria.

I rendimenti a lungo termine non hanno atteso la risposta della Fed o degli economisti, e hanno iniziato ad irripidirsi fin dalla scorsa estate. Una dinamica dalla quale si possono trarre due insegnamenti. Il primo è più che altro un’amara realtà: la Fed non è onnipotente e soprattutto non controlla i rendimenti decennali. Il secondo è che i rendimenti a lungo termine non rispecchiano soltanto le aspettative di inflazione (suscettibili di perdere slancio), ma anche il vigore della ripresa (sospinta dagli stimoli).

Emerge una complessa equazione per gli investitori: restare fedeli alle obbligazioni che iniziano a stabilizzarsi o venderle per acquistare azioni più volatili, alcune delle quali non sono immuni dagli aumenti dei tassi? C’è ancora tempo per introdurre coperture o sono presenti stili azionari che beneficiano di questo contesto reflazionistico?

 

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Monthly House View, pubblicato il 19/02/2021 - Estratto dall'Editoriale

23 febbraio 2021

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